Cercare di dare un ordine morfologico e strutturale ad un interessante insieme di opere linee, che si trovano a Somma in ambito ecclesiale, richiede d’interagire attraverso campi documentali molto diversi .
Cosi, in primo luogo, si finisce a far vertere la riflessione storico-critica su quanto dipende dall’immaginario collettivo, ovverosia secondo le tante istanze del sacro di matrice cristiana, tanto partecipate delle tradizioni popolare: ovverosia come “concezione del mondo e della vita” a Somma in età barocca.
E veniamo adesso ad uno dei criteri fondamentali di questo saggio: la riflessione sul valore ideologico del materiale impiegato e tenere in debito conto le specifiche tecniche di lavorazione del legno, una tra le più antiche attività artistiche dell’uomo.
A ben a ragione, l’atavica cultura contadina del territorio vesuviano, ravvisa il mondo vegetale in un vero e proprio universo di simboli, fin a consentire l’insorgere di una vera e propria psicologia archetipale. Come un manifestarsi dell’inconscio collettivo, attraverso leggende, credenze religiose; riti e miti pressappoco legati alla natura arborea.
E’ pur vero che, a riguarda una ideologia fondamentale, il legno, già da tempi antichi, viene considerato un materia vivente, in quanto è possibile osservarne le venature, i nodi, le crepe, le tarlature e le anomalie di crescita. E conseguentemente, di pari passo all’essere umano, le opere in legno, nel tempo invecchiano, lasciando credere che finiscono di cadere in disuso, col deterioramento dell’aspetto fisico e l’inibirsi la precipua funzione.
E ancora un’altra considerazione occorre qui riportare: nel passato, a Somma ed in ambito provinciale, il legno veniva preferito agli altri materiali della scultura, in quanto si differenzia dalla pietra (il marmo) e dai metalli (il bronzo e l’argento) effettivamente per necessità economiche, in quanto il costo del legno era più basso di quello degli altri materiali per la scultura.
Ed a questo punto, torna utile citare il Prof. Raffaele D’Avino, che scrive: “fu di gran moda, per gli edifici sei e settecenteschi di Somma, arredare i monumentali ingressi con fastosi elementi scolpiti in legno. E non di rado, percorrendo la strade vecchie della nostra città vesuviana, ci si accorge del perfetto magistero e della paziente opera di artigiani scrupolosi, che a loro volta hanno operato con gusto, accortezza e tenacia, lasciando così ai posteri esempi di lavori, nati spesso dal semplice artigianato del legno”. E qui cade bene il richiamo ad un emblematico e consistente patrimonio di beni culturali, il cospicuo insieme di suppellettili in legno della chiesa Collegiata di Somma. Quali il coro, il pulpito, la cantoria, i confessionali, gli armadi di sacrestia e specialmente il ricchissimo soffitto.
Dunque, arrivati a questo punto di ricerca delle opere sacre lignee, una particolare attenzione la dedicheremo al coro che si trova nella Collegiata. È fatto sta che, questo straordinario monumento, sia già stato materia di un precedente articolo, a riguarda talune fondamentali riflessione d’analisi iconologiche, ma altre sì questo secondo studio si compone di un attento chiarimento storico a riguardo del rapporto artista e committenza clericale.
Fin tanto che, persino a nostro giudizio, ciò che importa è mettere a fuoco talune istanze di cultura
Collegiata, Coro ligneo, veduta d’insieme (foto Bove)
SUMMANA
religiosa, messe a punto dal Capitolo della Collegiata. Nel quale i prioritari interessi pastorali dovettero interagire con altri di natura propriamente artistica e nel contempo, finirono anche ad essere condizionate le scelte tecnico-estetiche, effettuate dell’ anonimo autore del coro. Concretamente, il tutto viene inteso, dal clero committente, come rimando alle belle ‘Invenzioni” di uno dei più noti maestri napoletani dell’età barocca: lo scultore-architetto Cosimo Fanzago. Infatti, la struttura del coro offriva validi spazi per la decorazione plastica lignea, e soprattutto nel Settecento gli interventi decorativi, a mezzo di un linguaggio propriamente barocco, consentirono di portare, all’attenzione dei fedeli, salienti argomenti della nostra fede cristiana, intesi proprio come argomenti di dottrina cattolica. E veniamo adesso all’esame del coro della Collegiata. La prima cosa che si deve dire è che questo monumento |
passare ad una lettura diligente del precipuo linguaggio formale connotante il coro ed in primo luogo passare all’esame della struttura generale. In tal modo, di grande interesse si presenta il piano fondale dell’intero corpo di questo arredo ligneo, consistente in una scansione di paraste corinzie, che si raccordano ad una aggettante cornice e mediante raffinate mensole, fin a generare una cadenzata ripartizione a spicchi. Tant’è che queste porzioni di superficie vengono definite da modanature mistilinee e con un motivo di crosetta”, ai quattro angoli, richiamando, altre sì, i partiti decorativi che troviamo alle corrispettive fiancate dei scanni.
Ed inoltre, particolarmente eloquente di tale propensione estetica, è la svettante cimasa dei due correlativi lati del coro, che ha fattezze di una modanatura alquanto sporgente e composta, a sua volta, da trabeazione ed ornato superiore.
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– Collegiata, la Cantoria e l’organo (foto Bove) nostra popolazione. A questo punto, perciò
L’alta rilevanza di questo ornamento, consiste nella precipua funzione decorativa di una doppia teoria di simbolo visivo istituzionalizzato, fatto di elementi lignei, intagliati ed indorati. E pertanto, fermiamoci ad analizzare la portata segnica del motivo decorativo più appariscente, concepito proprio come intreccio di rami d acanto e come retaggio di coltura classica, che ancora persisteva nella civiltà vesuviana.
L’altro motivo, a sua volta, è un simbolo religioso ancor più manifesto di questa cultura storica; difatti consiste in una speciale forma di vaso ovoidale poggiato su piedistallo, attraverso il quale si è voluto designare un preciso simbolico oggetto liturgico cristiano, la coppa della consacrazione.
E occorre dire che, già nell’antica civiltà grecoromana, questa peculiare tipologia di contenitore di liquido (denominato, . stamnos) veniva usata appositamente per mescolare I acqua e il vino. E pertanto, occorre dire che proprio, in età cristiana, tale recipiente diventa il “Calice della salvezza”: lo strumento sacro preposto alla celebrazione eucaristica.
E dunque, il concetto sacro sotteso a tutte queste immagini, sono molto partecipate dal clero della Collegiata, che come committente dedicava particolare attenzione all’arte figurativa, considerata fondamentale per la diffusione della fede cristiana in piena età della Controriforma.
Eppure, all’enunciata cultura cattolica, si allinea ideologicamente tutto il programma iconografico della scultura lignea del coro: inteso appunto come espressione integrale di arte sacra.
Cosi, in tal senso, potremmo anche dire per quanto riguarda le figure lignee, in gran numero, modellate su i braccioli degli scanni.
Esattamente il tema de il “putto che cavalca il delfino , consiste in tante altre geniali variazioni narrative, fin tanto che c’è molto da riflettere sulla letture degli attributi naturali, sottesi ad ogni replica di questo tema plastico ligneo.
Certamente, dopo una puntuale analisi iconografica, occorre constatare che, nell’insieme di dette immagini plastiche, non troviamo alcun diretto riferimento a storie ispirate alle sacre scritture, ma piuttosto un intellettuale apparato di simboli visivi, che immettono, in accentuata evidenza, la “dimensione sociologica delle tradizioni culturali” del territorio vesuviano.
E qui cade bene il richiamo sul fatto che ogni cosa raffigurata, altre sì, viene Intesa come rassicurante e confortevole messaggio di cultura popolare. nel modo tale che scorrere il linguaggio di codeste sculture a tuttotondo, si percepisce appieno la grande conoscenza che ha l’anonimo autore di queste scultore, dell’arte napoletana barocca. Fin tanto da lasciar percepire appieno un concetto ideologico di fondo dell’estetica
– Coro ligneo, scultura “ilputto sul delfino” (foto Bove)
sei-settecentesca, che potremmo così sintetizzare: la natura oggettiva diventa la vera maestra dell’arte, fin a comportare un vasto ampliamento dei soggetti dell’arte sacra.
E tra i tanti contenuti figurativi che troviamo per queste sculture lignee del coro, potranno ad essere associati ad un genere dell’arte molto antico, che diventa abbastanza ricorrente nella pittura napoletana dell’epoca: la “natura morta” non proprio come
– Coro ligneo, il putto che esibisce il cornucopia (foto Bove)
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un’esperienza estetica, ma piuttosto come rimando a ciò che ci sta intorno e che costituisce la scena della vita quotidiana. (12)
Cosi, una palese conferma ad un linguaggio figurativo, che potremmo dire connotato di caravaggismo, possiamo trovarla in varie ed emblematiche versioni de il “putto sul delfino”. Là dove troviamo il “bimbo” anche a compiere un abituale gesto del vivere di ogni giorno: esattamente, in queste specifiche versioni, lo troviamo intento ad impugnare con la mano sinistra la zappa” o almeno un “coltello” o dir poco la “tromba” o un arma da taglia, oppure è intento a suonare la tufa” la tromba marina.
E poi, di più in tante altre versioni, lo troviamo ad impugnare il “falcetto”, a mo’ d’agricoltore e persino nella versione che possiamo definire la più esauriente di tutta questa serie: il putto che esibisce la “cornucopia”.
Fa d’uopo ora menzionare che, questo mitico oggetto, consiste in un vaso a forma di corno riempito di frutta e coronato d’erba e fiori. Come si vede la cornucopia» è sempre stato un vero e proprio simbolo con significato positivo, vale a dire che equivale ad una condivisa nozione di abbondanza e prosperità. E nonché diventa diretta allusione alla feracità dei campi agricoli del territorio vesuviano: ovvero nel nostro caso specifico, il putto che ostenta questo simbolo assuma il valore di un voto tanto auspicabile ad comunità ad economia agricola, peculiarmente quella del ter-
– Coro ligneo, l’unicorno (foto Bove)
ritorio di Somma. Seppur nel senso percettivo del fedele astante al coro di porsi radicalmente il precario dell’esistenza, fin ed essere partecipe alla perentoria verità della nostra fede: avere fiducia nella saggezza e provvidenza divina.
Ma torniamo, da ultimo, ad un altro saliente momento d’analisi iconologica di questa filza di sculture de il putto sul delfino”, un motivo decisamente ripetuto in siffatte sculture: è difficile non rimanere colpiti dal potente espressionismo della posa corporea del putto sul delfino”, volto a reggersi saldamente, con la mano destra, al solo corno ch’è dotato questo fantastico pesce, il quale per queste fattezze anatomiche, rimanda persino al mitico unicorno”.
E diremo di più che l’allusione rimanda, a ben ragione, ad un giusto archetipo dell’immaginario pagano e in epoca cristiana, l’unicorno, infatti, è sempre stato concepito come ricorrente segno sacro, esattamente quale simbolo di purezza e castità.
Infine l’attrazione verso siffatti simboli del sacro viene avvertita, in maniera sempre più intensa, fintanto ci inoltriamo nella lettura delle ragguardevoli decorazioni lignee del coro. Così, abbiamo interesse a richiamare l’attenzione, su un altro argomento di scultura di questo arredo sacro: l’Angelo-Cherubino, uno dei più puntuali motivi iconografici dell’arte cristiana di tutti i tempi.
Questa immagine dello spirito celeste, scolpita in legno e senza alcun variazione, viene iterata su i braccioli della prima fila di scanni del coro, fin a far assumere a ciascun sedile la connotazione abbastanza monumentale e nondimeno di un denso significato sacro.
E qui che cade bene il richiamo al concetto dell’angelo che si ha, proprio in età barocca, allorquando viene ad affermarsi la tendenza a rappresentare questi spiriti alati senza corpo e soltanto con l’immagine della testa e delle ali: per sottolineare il loro significato tassativamente spirituale ed incorporeo. E intanto, non si può negare che tutto questo specifico apparato di plastica lignea degli angeli, sia stata una vera e propria scelta iconografica della committenza.
Ed ecco che, per i fruitori astanti, queste effigie avranno avuto ben ragione di promuovere la fede a riguardo l’ “Angelo Custode”. Infatti, si è voluto promuovere un culto, fin allora molto diffuso a livello di religiosità popolare, tanto che questo spirito celeste viene implorato come messaggero divino ed avente ufficio d’intercessore presso Dio e compito di difendere il devoto dai comuni mali.
Eppure, siffatte considerazioni ci consentono un’altra definitiva osservazione di studio dei segnali del sacro, il tema figurativo principale di tutto questo insieme di sculture lignee del coro è stato concepito in linea con le esigenze della pastorale cattolica, in piena
– Coro ligneo, Angeli-Cherubini (foto Bove)
età della Controriforma: l’uomo che diventa bambino (vedi l’immagine del putto) e tramite Cristo (in senso metaforico adombrato nell’immagine del “pesce-delfino”) perviene alla percezione esatta della “parola di Dio”, quale fonte di ogni bene per il credente.
Eppure, siffatte considerazioni ci consentono un’altra definitiva ipotesi di configurarci del sacro nell’insieme di tutte le sculture lignee del coro, almeno perché bisogna tener presente che non ha più lo “smalto” di un tempo.
Detto questo, sentiamo di rivolgervi un interrogativo: che senso ha il diffuso colore nero che connota d’aspetto sgradevole tutti gli arredi sacri (il pulpito, la cantoria ed il coro) della Collegiata?
Però si conosce bene come, queste opere lignee, in origine erano; avevano, piuttosto, un aspetto rutilante perché le loro superficie esterne erano rivestite d’oro.
E così, a nostro avviso, occorre accertarsi da dove proviene tutta questa coltre scura, fin ad avere esatta convinzione che è stata prodotta da un processo progressivo di ossidazione della doratura. Fintanto, che nel tempo, si è ingenerato un crescente annerimento generale dell’opera. offuscandone i connotati estetici e persino inibire ogni forma di comunicazione dei valori religiosi.
Perciò, ci sono vari modi di restaurare: il migliore è quello che parte cercando di identificare la tecnica (o le tecniche) con la quale è stata realizzata l’opera da restaurare.
Infine, è già un gran fatto riconoscere che, questo recupero consiste non soltanto in evento culturale eccezionale, ma piuttosto un modo civile di restituzione alla comunità dei fedeli i segni del sacro, ora alquanto obsoleti e invece ritorneranno, nella misura corrispondente, ad avere luogo in questa insigne monumento della cristianità di Somma.
Antonio Bove
NOTE
- M. Pastoureau, Medioevo simbolico, Bari 2005.
- E. De Martino, Sud e magia , Milano 1959
- F. Fittipaldi, La scultura, in Civiltà del Settecento a Napoli, Firenze 1980, V. 11.
- R. D’Avino, Roste di portali in Somma, in SUMMANA no 30,
- A. Bove, Sculture in legno delle chiese di Somma, in SUMMANA n065,
- A. Bove, L’impianto iconografico del coro ligneo della Collegiata, in SUMMANA, n065.
- R. Mormone, La scultura ( 1734-1800) , in “Storia di Napoli”, p. 561 e ss.
- R. D’Avino, Portali al Casamale, in SUMMANA no 59, aprile 2004.
- Cfr. R. Mormone, Il coro ligneo di Bagnoli Irpino (l), in Napoli Mobilissima no? p. 194 e ss.
IO) R. Giorni, Simboli, protagonisti e storia della Chiesa, Milano 2004.
I l) Questa serie di motivo scultoreo de “putto con il delfino”, consiste in 16 versioni, 8 per fila di scanni. E purtroppo occorre notare che, alla fila di sinistra, ne manca una — forse trafugata — e pertanto il numero delle versioni scende a 15.
12) V. Pacelli, Caravagio la Sette Opere di Misericordia, Salerno 1984.
1 3) F. Saija, Questione meridionale religione e classi subalterne, Napoli 1978.
14) L. Lampelluso, La natura e i suoi simboli, Milano 2003 1 5) L. Gooser, Ipersonagi dei Vangeli, Milano 2000 16) R. Giorni, Op cit. Animali simbolici, p. 156 ss.