Il Purgatorio

In che modo nel XV secolo la raffigurazione della Madonna utilizzò il tema antico della latta­tio, quale tipologia prima del concetto delle Gra­zie profuse dalla Vergine e come questa stessa ti­pologia si evolse in un altro modello mariano, quella della ostentatio uberum, nell’ultimo quarto dello stesso secolo, si trova eccezionalmente documentato  negli  affreschi  superstiti  della  cripta d i S. Maria del Pozzo.
Resta da precisare come questo processo iconografico poggia su una linea evolutiva socio­-religiosa che vede il culto mariano, nel Meridione, svilupparsi e diffondersi nell’arco del XIV e XV secolo; principalmente per l’azione, assidua e capillare, degli ordini religiosi, in particolare quello francescano che, proprio in S. Maria del Pozzo, aveva una delle sedi più prestigiose.
Ora  legare  le  motivazioni  storico-sociali   di tali raffigurazioni (lo diciamo riferendoci al tema della Madonna delle Grazie e del Purgatorio) alla ricettività devozionistica espressa  in un ambito limitato, ma  ben  distinto, come quello  della città d i Somma, diventa per  noi  un  motivo  interessan­te di “verifica sul campo”, con risvolti sicuramen­te proficui e non privi di fascino.
Si tratta, in effetti, di applicare un metodo di indagine – già sperimentato altrove – alle strut­ture religiose di questo centro vesuviano, per scoprirvi le motivazioni di fondo (antropologico­ religiose) che danno senso ad una devozione mariana particolare, legata a sua volta all’universo cultuale  dei morti.
Nel precedente citato  articolo abbiamo visto come una delle dinamiche evolutive di questo tema iconografico mariano è  rappresentato  dal­l’attributo elargitivo del refrigerium: infatti, a partire dal prototipo ideato da Angiolillo Arcuccio, intorno al 1470, diffusosi subito in ambito cam­pano (uno di questi primi documenti lo troviamo proprio a Somma,  nella cripta d i S. Maria del Pozzo), si riscontra soltanto questa tipologia del­la Madonna delle Grazie, che vede la Vergine stringersi il seno, aiutata quasi sempre dall’infan­te Gesù ed entrambi rivolgersi verso il basso, dove si trovano le anime dei purganti.
Ma, verso la metà  del  secolo successivo, que­sto impianto iconico, alla luce  delle  nuove  istan­ze post-tridentine e sotto le  spinte  delle  specifi­che variazioni distintive volute dagli ordini religiosi, concorrenti tra loro (lo scapolare per i Car­melitani, il cingolo per i  Francescani  e  il rosario per i Domenicani), diventa più complesso ed ar­ticolato. A tale proposito può essere citata,  come esempio,  un’opera  attribuita  a  Carlo Sellitto, proveniente da Melfi, ed esposta alla Mostra “Civiltà del Seicento a Napoli”.
Troviamo, infatti, da questo momento in poi opere che enfatizzano l’atto  misericordioso  di Maria, non più sintetizzato dal  seno  scoperto  – che  resta  talvolta  anche   pudicamente   celato  – ma attraverso una complessa impostazione  reto­rica, che vede la Vergine integrata  nella  gerar­chia celeste, tra Cristo e il Padre, coadiuvata, nel suo esercizio di carità, dall’arcangelo Michele, o dagli Apostoli, oppure dai Santi Patroni,  tutti protesi verso la parte  inferiore  del  quadro,  indi­cante il luogo sotterraneo ed infernale, dove il partito delle anime purganti diventa sempre più emergente e vasto.
Ci troviamo infatti nel pieno  trionfo  delle istanze   barocche,   che  mirano  a  coinvolgere   lo

 
                              Fig.  1 –  Madonna delle Grazie nella sacrestia
                                                            (Foto R. D’Avino).
spettatore con una scenografica e teatrale “mac­china” figurativa. Tale è la novità  iconografica che, per distinzione, si usa  il titolo  di  Madonna del Suffragio. A proposito, va citata  la  notissima tela di Massimo Stanziane, dal 1630 e.a, per la chiesa del Purgatorio ad Arco a Napoli: un vero modello figurativo per tante opere simili per  tutto l’arco del secolo (6).
In tanto il precedente impianto iconografico primo-cinquecentesco non si esaurisce del tutto, esso  continua a persistere,   particolarmente  in 28 provincia. E guarda caso, un documento di tal genere lo troviamo proprio a Somma: la tela tardo-seicentesca della Madonna delle Grazie, posta nella sacrestia della Collegiata.  Quest’ope­ra, pervenutaci assai manomessa, non  reca più nella  parte  inferiore  la   preesistente   immagine del Purgatorio – sebbene lo schema compositivo dell’insieme la lascia chiaramente  intuire  – per­ché cancellata da un posticcio e piatto strato di colore  scuro.

Tra i protagonisti maggiori, di questa bella stagione culturale, vanno citati Andrea e  Dome­nico Antonio Vaccaro; e proprio al linguaggio giovanile di quest’ultimo, ci pare di associare di­pinti sommesi che stiamo considerando.  Infatti, essi sul piano del linguaggio formale si presenta­no come pervasi da intensa vena drammatica, messa in evidenza  da  forti caratteri  luministici  e da vigoroso plasticismo. Ma  il  documento   barocco   locale  di  maggiore importanza – non soltanto per Somma – dedicato al tema iconografico del Purgatorio, lo troviamo proprio nella Collegiata. Si tratta dell’intero insie­me di pittura e scultura che connota la seconda cappella a sinistra. Ad ornamento dell’altare  c’è una interessantissima tela che unita ad altre due laterali – costituisce, per il suo contenuto, la “summa” figurativa di tutto quanto teologica­mente era stato elaborato, intorno al culto delle anime del Purgatorio, nel secolo XVII.

Questa cappella fu eretta intorno all’ultimo decennio del Seicento ed esprime, attraverso lo svolgimento del tema pittorico (ma anche con tutto l’apparato decorativo, che va dai marmi dell’al­tare, alle balaustre e alla scultura lignea del Cristo morto), una forte connotazione “prodefuntis”.
L’ancora ignoto pittore di queste tre tele si mostra assai aggiornato  a quanto,  in quegli anni, si andava producendo nella Capitale. Si tratta dell’applicazione di una delle più  schiette formu­le del barocco  napoletano, venuto a maturazione
⦁    sulla base di complessi intrecci culturali – intorno alla metà del secolo XVII e che continua fino alla soglia del XVIII secolo.
Giovane  Domenico  Antonio,  “Che da  un Lato prova  a
rivitalizzare modelli e formulari di antica matrice manieristica, dall’altro sperimenta soluzioni di cromatismo brillante e luminoso di evidente deriva­zione genovese”, oltreché rifacendosi all’ap­porto solimenesco e a quello ancor più  fascinoso di Mattia Preti.
Nella tela centrale, quella posta sull’altare di questa cappella, l’autore, nell’aver associato due santi (nel caso specifico Andrea Avellino e la Maddalena), alla Madonna nel ruolo di dispensatrice di Grazie, fa presupporre una consapevole ripresa di un modello  iconografico  introdotto  a Napoli, intorno alla metà del Cinquecento, da un campione del manierismo  toscano:  Marco  Pino da Siena. Così il forte plasticismo delle figure dei purganti che, sebbene trattato con i modi “te­nebrosi” alla  Mattia  Preti  (altra  caratteristica della pittura giovanile di D. A. Vaccaro), presenta particolari anatomici di notevole consistenza di­segnativa, che va poi, via via, stemperandosi nel­la parte alta della composizione, fino ad  accedersi di colore nel particolare della veste  della Madonna. Anche nella tela di sinistra, la straordinaria  figura dell’angelo ribelle, è  resa con vigoroso scorcio prospettico, dal quale si evidenzia an­che una indubbia ascendenza riberesca, come pure per la figura di madre con bambino della tela di destra.
Sul piano dei contenuti religiosi,  riscontria­mo la centralità del principio dottrinale cattolico definito del “Giudizio di Misericordia” (che ha come protagonista la Caritas Mariae), che prece­de e anzi quasi si contrappone al Giudizio finale.

ha voluto ravvisare uno storico locale della pri­ma metà del secolo scorso, però il riferimento a San Gregorio Magno e alle sue Messe, sembra assai palese.
Va ribadito, quindi, il vigoroso valore conno­tativo di questi tre dipinti che si richiama a uno dei punti forti del cattolicesimo  meridionale del- 1’età controriformista: l’accesa fede nel legame continuo tra i vivi e i morti, attraverso la media­ zione  ecclesiastica  e l e conseguenti  pratiche  devede alcun appello o purgazione di sorta.
Questo assunto religioso lo si evince, ancor meglio, dalla tela di sinistra, dove appunto è raffi­gurato il Giudizio con la centrale figura di San Michele nell’atto di cacciare, inesorabilmente e senza speranza, all’Inferno i reprobi (adombrati nella figura dell’angelo  ribelle).  Suoi  attributi sono la spada, lo scudo e la corazza, che connota­no la potenza di Dio e la Sua infallibile (ma irata) giustizia, dalla quale si può sfuggire soltanto con l’operatio boni, durante la vita. L’opera acquista così il significato di un vero e proprio monito per i fedeli e, in particolare, per i congregati che si da­vano raduno in questa cappella.
La terza tela, quella di destra, rimanda lo spettatore ad un diverso polo semantico, op­posto e complementare al primo. Infatti, si confrontano il Giudizio finale e la dimensione terre­na, nella quale si gioca il destino di salvezza di ogni uomo. In questa terza tela, infatti, a comple­tamento del ciclo tematico, è rappresentato un consueto interno di chiesa nel momento della celebrazione eucaristica, con la devota e passio­nale partecipazione  dei  personaggi  raffigurati, tra cui quella di San Andrea Avellino, così come
vote indicate dalla Chiesa.
Questa cappella, per  il  grosso  spessore  retori­co che esprime,  non  rimanda  affatto  all’idea  di un  semplice  prodotto  legato  all’atavico  e popola­re culto dei morti, anche se legata alle pratiche religiose di una Congregazione laica, bensì a un preciso ed articolato progetto per la  veicola­zione (attraverso  immagini)  del  pensiero  ufficia­le della Chiesa seicentesca  in  materia  di  esisten­za ultraterrena e di  “buona morte”. Anzi, proprio l’invito alla meditazione sulla morte, intesa come memento mori per ogni singolo fedele, ricco o po­vero,  risulta  pressantemente  espresso  nell’appa­rato figurativo di questa cappella, con  il  gusto tutto barocco della ostentazione del  macabro:  te­schi e tibie  sono raffigurate  un po’d’ovunque,  sui  marmi  dell’altare  e  su  quelli  delle  balaustre. Ma l’invito alla meditatio mortis risul­ta ancor più rafforzato  dalla  collocazione  della, già citata, scultura lignea del Cristo morto nel vano dell’altare, quale precisa allusione al se­polcro e alla  pratica  della  sepoltura  come  desti­no ineluttabile  di  ogni essere  umano.
Non va, infine, sottovalutato l’interessante pannello a sbalzo della porticina della custodià d’altare, anch’esso databile, come i marmi, nel   primo   Settecento.  In  esso  troviamo,   ancora una volta, raffigurato il motivo iconografico del Purgatorio,  con  una  sostanziale  variante:  la  fi­gura di Cristo risorto – con  la  Croce  trionfante alla sinistra – sostituisce quella  abituale  di  Ma­ria. È una variazione importante sul piano ideo­logico-religioso, in quanto si rifà a un dato teolo­gico molto sentito in ambito francescano nel Quattro-Cinquecento,  quello  cioè  dell’associazio­ne del Sangue di Cristo al Latte della Vergine nel “Giudizio di misericordia”, che poi si rivela qui ancora attuale,  in  pieno  Settecento.
Ecco spiegato, in questa piccola opera (godi­bile anche sul piano formale), il significato fi­gurativo delle gocce di sangue che dal costato di Cristo si riversano sulle anime purganti, con lo stesso risultato di refrigerio del latte di Maria nell’iconografia della Madonna delle Grazie.
Attraverso l’eloquenza originaria del suo pre­gnante messaggio – conservatasi miracolosamen­te fino a noi – questo monumento sommese testimonia uno spaccato di storia religiosa che tra­ scende il dato locale per situarsi come punto di riferimento in un quadro storico di ben più am­pio respiro (come abbiamo  cercato di argomentare), che vede la Chiesa meridionale del Seicen­to collocarsi funzionalmente tra esigenze di culto del popolo e istanze regolatrici provenienti da­ll’alto.
Questa   cappella,   in  sintesi,  va   considerata quale  notevole  esemplare,  appartenente  al patri­monio artistico di Somma, della cultura barocca. Infatti, risultano  evidenti  i tipici  caratteri  comunicativi di detto stile, che hanno come finali­tà il coinvolgimento emotivo del fedele e nel contempo la sua sollecitazione sul piano religio­so, secondo i dettami della Controriforma. Risul­tano pertanto, in chiavi altisonanti, i valori spiri­tuali del “memento mori” e del “fine ultimo”. consi­derati, a ragione, i principi della laica! Confrater­nita della Morte, committente di questa presti­giosa opera.